Ho sempre guardato con molta simpatia e un po’ di sufficienza le statue di San Maurizio, rappresentato sempre con un paio di baffi. Anche l’affresco sul pilone della strada della Madonna della Losa lo ritrae con questa sorta di attributo che, assieme a corazza con elmo da legionario romano e il vessillo bianco e rosso, lo contraddistingue nell’iconografia locale. Perché mai questi baffetti? Forse per distinguerlo nella pletora di Martiri Tebei con indosso la stessa armatura, di cui si è andato riempiendo il Piemonte meridionale nel corso dei secoli? Forse una moda passeggera o il vezzo di un pittore/scultore desideroso di adeguare le sue produzioni alla tendenza del momento?
Comunque mi faceva sorridere questo santo africano, e quindi di pelle presumibilmente scura, rappresentato candido come la neve e dotato di baffi scuri, non di barba, si badi bene, perché di santi con la barba è zeppa l’iconografia classica, da San Giuseppe a Sant’Antonio, da San Pietro a San Giovanni Battista per restare nei dintorni.
Poi un giorno, durante la pandemia, stavo seguendo un’interessante videoconferenza tenuta dalla direttrice del Museo Diocesano di Cuneo sulla mostra in corso a Palazzo Madama a Torino “Ritratti d’oro e d’argento” e ho fatto un salto sulla sedia. Laura Marino stava spiegando che il primo reliquiario di San Maurizio lo rappresentava con i baffi! L’opera è andata perduta ma lo si conosce grazie a dettagliate descrizioni con disegni conservata a Vienne in val d’Isère. Si tratta del più antico busto reliquiario d’Europa che presumibilmente ha fatto da modello a molti altri reliquiari.
Ho così capito che l’autore di quelle iconografie di San Maurizio, o probabilmente della prima, che poi ha fatto da prototipo alle altre, non era affatto un ingenuo né tanto meno uno sprovveduto, ma aveva fatto riferimento a un modello della tradizione e non certo casuale o alla moda: la sprovveduta semmai ero io, bella lezione.
Silvia